Oltre ad astronauti e ballerine mancati, l'80% dei lavoratori non fa esattamente quello che sognava di fare nella propria carriera personale. Ma c'è chi non ha ancora smesso di sognare.
Nessuno fa il lavoro dei propri sogni. O meglio, sono pochi, molto pochi, a essersi realizzati professionalmente in quello che sognavano di fare da bambini. Che poi i sogni da bambino sono cose come l'astronauta o la ballerina, per i quali di posti di lavoro ne esistono pochi pochi. Ma in ogni caso, secondo uno studio di Glickon, azienda leader nel mercato software dell’HR tech, solo una persona su 5 fa davvero il lavoro che sognava da bambino o da ragazzo.
Un tema, quello del lavoro dei sogni, tornato prepotente durante e dopo la pandemia, quando complice lo scombussolamento dato da lockdown, remote working e nuove modalità ibride, sempre più persone e lavoratori hanno cercato di rimettere in ordine le proprie priorità di vita.
E infatti la cosa interessante è che il 60% dei lavoratori intervistati non ha smesso di sognare. Cioè non si è scoraggiata e continua a cercare un lavoro più vicino a quello dei propri sogni. E anche da questo dipende il fenomeno della Great Resignation, la priorità data alla well-being culture data dalla Generazione Z nelle sue scelte professionali, e in generale la tendenza a pensare di cambiare vita e attività.
4 intervistati su 5 pensa o ha pensato di lasciare l'attuale lavoro per inseguire il proprio sogno professionale, quasi tutti anche senza garanzie o sapendo di dover affrontare rischi e sacrifici anche economici.
Neanche troppo curiosamente chi non ha smesso di sognare è la Generazione X, i cinquantenni che, nella coda lunga dei genitori baby boomer, danno ancora enorme importanza alla carriera professionale. Più tiepide invece le successive GenZ e Millennial, per le quali come detto è molto più importante il work-life balance.